Argomento controverso, ottimo drama ma a volte poco rispettoso dei problemi altrui
Suicidio è una parola terribile. Per alcuni un peccato inescusabile, sempre, per altri quella che sembra l’unica via di uscita da una situazione insostenibile, qualsiasi sia la motivazione.
Chi si avvicini a questo drama con problemi personali inerenti l’argomento, farebbe bene a procedere con estrema cautela, perché il togliersi la vita è l’argomento pivotale di tutta la serie, e per come la vedo io, non è sempre trattato nel modo migliore.
Tutto verte infatti intorno alla lotta quotidiana di una piccola squadra speciale di Grim Reapers, tristi mietitori, angeli della morte, shinigami o come vogliamo chiamarli, il cui compito è di impedire il successo agli aspiranti suicidi. Questo perché, nelle premesse di questo drama, l’anima che rinuncia volontariamente al dono della vita finirà all’inferno e vedrà recidere tutti i legami che la collegano alla sua esistenza, senza possibilità di incontrare nuovamente quelle persone nelle reincarnazioni successive. A questa squadra formata dalla energica Goo Ryun e dal suo sottoposto Im Ryung Goo, si unisce per sei mesi un giovane apprendista, Choi Joon Woong, una ragazzo alla perenne ricerca di un lavoro, finito in coma per aver cercato di salvare un aspirante suicida.
Nel corso delle 16 puntate di questa serie ci sarà presentata un’ampia casistica di motivazioni per le quali gli esseri umani (e in un caso addirittura un cane) possono decidere di togliersi la vita. La squadra di prevenzione suicidi riuscirà a prevenirli, ma il focus del drama verte spesso sull’esposizione a chiare lettere di come un comportamento apparentemente non decisivo possa causare conseguenze devastanti in chi ne viene colpito. Bullismo scolastico, cyberbullismo, cattivi rapporti al lavoro, pettegolezzo… tutte cause apparentemente “leggere”, forse, in confronto ad altre più pesanti, come possono essere la rovina finanziaria della famiglia o la perdita di un bambino o una persona cara. Ma per chi le vive da dentro non esiste gradazione di dolore, solo il proprio personale inferno e gli aguzzini vanno messi di fronte alla proprie responsabilità.
Purtroppo, a prescindere dale cosiddette soluzioni che vengono trovate per dissuadere gli aspiranti suicidi, ho trovato a volte un approccio troppo semplicistico al problema. Sostanzialmente è come se ti venisse detto: è tutto nella tua testa, datti una mossa che tutto passa. Ma chi si dibatte in certe reti, fino ad arrivare a pensare di togliersi la vita, difficilmente riuscirà a liberarsi da solo: ha bisogno di aiuto esterno, così come ne hanno i protagonisti di queste vicende. Molto probabilmente, avrà bisogno anche di uno psicologo e, salvo difetti nella mia memoria, di aiuti psicologici in questo drama non se ne vede l'ombra. Eppure, in un paese che ha uno dei più alti tassi di suicidi al mondo, la salute mentale dovrebbe essere una priorità. Il fatto che il problema venga glissato completamente mi fa sospettare che esista un forte stigma contro la malattia mentale, la vergogna sociale di non essere all'altezza. E, in questo, il drama ha peccato di mancanza di coraggio, per cui per me rimane semplicemente un prodotto di intrattenimento che però, in taluni casi, potrebbe addirittura fare più male che bene.
Gli attori sono stati tutti molto bravi. Kim Hee Sun è stata un’ottima protagonista, sia in abiti moderni che in costume, un’eroina dolente dagli occhi espressivi. Rowoon e Yun Ji On sono stati due ottime spalle (perché sinceramente il giovane apprendista non mi è sembrato avere questo ruolo così preponderante, tale da poter dire che è il protagonista maschile). Discorso a parte per Lee Soo Hyuk che, pur non essendo prevalente, possiede comunque un carisma tale da spiccare anche in parti non principali. Anche gli altri attori di contorno, le figure dolenti cui sono stati dedicati via via gli episodi, hanno fatto un ottimo lavoro.
Ho apprezzato molto che una puntata sia stata dedicata alla tragedia delle comfort women, un crimine contro l’umanità per cui i giapponesi ancora oggi rifiutano di scusarsi e che, come il negazionismo della shoah, da alcuni è ancora non creduta.
I costumi sono stati molto soddisfacenti, sia nelle parti moderne che in quelle ambientate secoli fa. Le musiche hanno ben sottolineato l’azione e il comparto tecnico ha fatto, a mio parere, un ottimo lavoro.
Ho purtroppo percepito un poco di stanchezza a causa della ripetitività dell’azione: un susseguirsi di casi umani da salvare, mentre i rapporti tra la protagonista e il Grim Reaper interpretato da Lee Soo Hyuk fungevano da collante, invero non troppo efficace. Anche il coma del ragazzo è stato sfruttato abbastanza poco… insomma per la mia percezione la maionese è rimasta un pochino slegata, ma senza togliere molto al gusto della preparazione. Il finale potrebbe lasciare la possibilità della realizzazione di una seconda serie e, pur essendo soddisfacente, non posso dire abbia terminato la serie col botto.
In sunto, un drama piuttosto cupo, anche se condito con abbondanti dosi di speranza e qualche sorriso per le interazioni degli abitanti dell’altro mondo, coi suoi parallelismi con quello dei viventi. Ottimo lavoro, che avrebbe potuto essere anche migliore. Ma, ehi, ce ne fossero!
Chi si avvicini a questo drama con problemi personali inerenti l’argomento, farebbe bene a procedere con estrema cautela, perché il togliersi la vita è l’argomento pivotale di tutta la serie, e per come la vedo io, non è sempre trattato nel modo migliore.
Tutto verte infatti intorno alla lotta quotidiana di una piccola squadra speciale di Grim Reapers, tristi mietitori, angeli della morte, shinigami o come vogliamo chiamarli, il cui compito è di impedire il successo agli aspiranti suicidi. Questo perché, nelle premesse di questo drama, l’anima che rinuncia volontariamente al dono della vita finirà all’inferno e vedrà recidere tutti i legami che la collegano alla sua esistenza, senza possibilità di incontrare nuovamente quelle persone nelle reincarnazioni successive. A questa squadra formata dalla energica Goo Ryun e dal suo sottoposto Im Ryung Goo, si unisce per sei mesi un giovane apprendista, Choi Joon Woong, una ragazzo alla perenne ricerca di un lavoro, finito in coma per aver cercato di salvare un aspirante suicida.
Nel corso delle 16 puntate di questa serie ci sarà presentata un’ampia casistica di motivazioni per le quali gli esseri umani (e in un caso addirittura un cane) possono decidere di togliersi la vita. La squadra di prevenzione suicidi riuscirà a prevenirli, ma il focus del drama verte spesso sull’esposizione a chiare lettere di come un comportamento apparentemente non decisivo possa causare conseguenze devastanti in chi ne viene colpito. Bullismo scolastico, cyberbullismo, cattivi rapporti al lavoro, pettegolezzo… tutte cause apparentemente “leggere”, forse, in confronto ad altre più pesanti, come possono essere la rovina finanziaria della famiglia o la perdita di un bambino o una persona cara. Ma per chi le vive da dentro non esiste gradazione di dolore, solo il proprio personale inferno e gli aguzzini vanno messi di fronte alla proprie responsabilità.
Purtroppo, a prescindere dale cosiddette soluzioni che vengono trovate per dissuadere gli aspiranti suicidi, ho trovato a volte un approccio troppo semplicistico al problema. Sostanzialmente è come se ti venisse detto: è tutto nella tua testa, datti una mossa che tutto passa. Ma chi si dibatte in certe reti, fino ad arrivare a pensare di togliersi la vita, difficilmente riuscirà a liberarsi da solo: ha bisogno di aiuto esterno, così come ne hanno i protagonisti di queste vicende. Molto probabilmente, avrà bisogno anche di uno psicologo e, salvo difetti nella mia memoria, di aiuti psicologici in questo drama non se ne vede l'ombra. Eppure, in un paese che ha uno dei più alti tassi di suicidi al mondo, la salute mentale dovrebbe essere una priorità. Il fatto che il problema venga glissato completamente mi fa sospettare che esista un forte stigma contro la malattia mentale, la vergogna sociale di non essere all'altezza. E, in questo, il drama ha peccato di mancanza di coraggio, per cui per me rimane semplicemente un prodotto di intrattenimento che però, in taluni casi, potrebbe addirittura fare più male che bene.
Gli attori sono stati tutti molto bravi. Kim Hee Sun è stata un’ottima protagonista, sia in abiti moderni che in costume, un’eroina dolente dagli occhi espressivi. Rowoon e Yun Ji On sono stati due ottime spalle (perché sinceramente il giovane apprendista non mi è sembrato avere questo ruolo così preponderante, tale da poter dire che è il protagonista maschile). Discorso a parte per Lee Soo Hyuk che, pur non essendo prevalente, possiede comunque un carisma tale da spiccare anche in parti non principali. Anche gli altri attori di contorno, le figure dolenti cui sono stati dedicati via via gli episodi, hanno fatto un ottimo lavoro.
Ho apprezzato molto che una puntata sia stata dedicata alla tragedia delle comfort women, un crimine contro l’umanità per cui i giapponesi ancora oggi rifiutano di scusarsi e che, come il negazionismo della shoah, da alcuni è ancora non creduta.
I costumi sono stati molto soddisfacenti, sia nelle parti moderne che in quelle ambientate secoli fa. Le musiche hanno ben sottolineato l’azione e il comparto tecnico ha fatto, a mio parere, un ottimo lavoro.
Ho purtroppo percepito un poco di stanchezza a causa della ripetitività dell’azione: un susseguirsi di casi umani da salvare, mentre i rapporti tra la protagonista e il Grim Reaper interpretato da Lee Soo Hyuk fungevano da collante, invero non troppo efficace. Anche il coma del ragazzo è stato sfruttato abbastanza poco… insomma per la mia percezione la maionese è rimasta un pochino slegata, ma senza togliere molto al gusto della preparazione. Il finale potrebbe lasciare la possibilità della realizzazione di una seconda serie e, pur essendo soddisfacente, non posso dire abbia terminato la serie col botto.
In sunto, un drama piuttosto cupo, anche se condito con abbondanti dosi di speranza e qualche sorriso per le interazioni degli abitanti dell’altro mondo, coi suoi parallelismi con quello dei viventi. Ottimo lavoro, che avrebbe potuto essere anche migliore. Ma, ehi, ce ne fossero!
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